Biblioteca - Sede | Inventario | Collocazione | Copie | Disponibilità | Servizi |
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IVR-68061
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853.91 MAN
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Generazione Unimarc in corso
scheda di Roat, F., L'Indice 1996, n. 2
Di Manganelli, a distanza di sedici anni dalla prima pubblicazione, Adelphi ripropone Centuria, composto originariamente da "cento romanzi fiume" dell'ampiezza d'una pagina, a cui nell'odierna edizione sono state affiancate "altre centurie", trentun pezzi, undici dei quali inediti e venti già comparsi nel 1980 sulla rivista "Caffè" -, nonché sette racconti che l'autore aveva scartato. Il volume è arricchito altresì da un'introduzione a firma di Calvino e dal breve risvolto di copertina dell'edizione del 1979, scritto dallo stesso Manganelli.
Come sottolinea nella sua nota al testo Paola Italia - curatrice del volume - questa nuova stampa mira a esaudire il desiderio espresso dall'autore di dar seguito alla prima Centuria con una seconda. In ogni caso la scelta editoriale, riferita a un'opera che certo si colloca fra gli esperimenti linguistici più notevoli dello scrittore, ci sembra costituire un contributo interessante per chi intenda addentrarsi in una "vasta ed amena biblioteca", concepita da un funambolico prosatore, capace di inanellare un centinaio di arditi ilaro-tragici meccanismi narrativi in una collana di perle letterarie, contraddistinta da equilibrio strutturale, scansione ritmica di scrittura e coerenza interna davvero mirabili, pur nell'apparente eterogeneità e caleidoscopia dell'invenzione fabulistica.
Sorta di almanacco antropologico inteso a segnalare - non già a decifrare - gli ambigui geroglifici dei comportamenti umani, "Centuria" si può anche leggere come il catalogo di un eccentrico museo di caratteri, il cui comune denominatore è espresso da un antivitalismo costantemente sospeso sul baratro dell'inazione. Si dispiega una cosmologia fantastica che descrive bizzarri universi narrativi, dove con artificio, retorica e "menzogna" letteraria si cerca di esorcizzare la dolorosa consapevolezza dell'esistenziale parabola "discenditiva" verso il nulla. Così ancora una volta le prose brevi di "Centuria" riassumono e ribadiscono l'antiteologia di Manganelli, intesa a denunciare il non senso di un mondo a cui lo scrittore non vuole attribuire significato alcuno, astenendosi da ogni interpretazione che non sia quella del puro gioco, della finzione appunto, che illustra l'enigmaticità della vita con figurazioni stranianti, le quali rimandano semmai a una catarsi prudentemente scettica e assai poco consolatoria nel suo porsi come allegoria dell'impossibilità di esprimere parole iscritte in un codice di con-senso.
Ma sono forse le "centurie" ulteriori e i racconti scartati a esporsi con più sofferta franchezza nel dire senza troppi paludamenti, barocchismi o difese, il dolore di un vivere nei confronti del quale non sia dato esperire obiettivi, scopi o ragioni. E nelle carceri arcane e inaccessibili che ritornano con insistenza in tali racconti; nelle città debitamente labirintiche e abitate da innumerevoli solitudini; nel sottolineare una claustrofilia fabbricata a difesa dell'angoscia esistenziale, sembra di poter cogliere sprazzi d'una empatia per l'umanità dolente, tutta implicita e discreta, a cui Manganelli tra le righe accenna con timida, ma insistita complicità.
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