In principio era Diderot. La molla principale della trama di questo giallo, quel grande lettore che è Carlo Fruttero è andato a pescarla nell'episodio secondario di un suo romanzo; poi, da sapientissimo bricoleur, intorno a quella minuscola molla settecentesca ha costruito un grande orologio, come quelli che - a Strasburgo, a Monaco o a Praga - mettono in moto allo scoccare dell'ora una processione circolare di personaggi variamente tipici, tra i quali spicca, irrinunciabile, la morte con la falce. Mi guarderò dall'indicare esplicitamente la fonte della piccola molla segreta, che rischierebbe di sciupare agli amanti della suspense quel piacere della sorpresa che è tra gli ingredienti più apprezzati di un intreccio accattivante.Ma non è solo per aver fornito l'ispirazione iniziale della macchina narrativa che Diderot si può considerare il nume tutelare di Donne informate sui fatti: l'accavallarsi di voci narrative eterogenee, l'andamento frammentario e sussultante del racconto, l'ironia implicita ma onnipresente dell'invisibile autore, tutto, in questo poliziesco attentissimo alla realtà sociale del XXI secolo, rimanda a quella singolare zona del nostro passato in cui Sterne e Diderot (l'ha ricordato spesso Maria Rosa Mancuso) inventarono il romanzo postmoderno ben prima che i canoni del moderno si profilassero all'orizzonte.È a una serie di voci femminili che Fruttero affida il racconto di un fatto di cronaca nera apparentemente banalissimo: l'assassinio di una giovane prostituta rumena, Milena, che viene trovata strangolata in un fosso, tra i prati della collina torinese. Il caso, però, è molto meno semplice di quel che sembra: il lettore lo capisce quando alle voci narranti dei primi capitoli - la barista che per prima ha visto il cadavere, la bidella che ha lanciato l'allarme, la giovane carabiniera scrupolosa che conduce l'indagine - cominciano a intrecciarsi voci che appartengono a un ambiente molto diverso, vale a dire alla Torino bene delle ville ottocentesche, dei castelli con frutteto (anzi, "pomario") nel Monferrato, delle vacanze in Sardegna e dei campionati di golf. Grazie a un'organizzazione religiosa, Milena proprio in questo mondo privilegiato aveva trovato prima un lavoro, poi un destino ancora più fortunato: quale intrigo l'ha riportata al punto di partenza e a una morte atroce?La risposta emerge dalle voci, tutte di narratrici-testimoni, che si intrecciano, si giustappongono, si contraddicono. Ed è nella loro caratterizzazione il maggior punto di forza del romanzo: dalla barista che incalza il fidanzato con il linguaggio fitto di abbreviazioni degli sms, alla giornalista di una tv locale specializzata in "pubblicità di pentolame, mobili e fattucchiere", sino alla gran dama a suo agio tra castelli e abbazie, ma con tante amiche "impegnate nel sociale", ogni figura che prende la parola in Donne informate sui fatti ha una sua fisionomia linguistica precisa, colta con quell'"immaginazione sociologica" che è tra i più preziosi attrezzi del mestiere del narratore realista. Resta priva di voce, come la Sirenetta, soltanto la vittima, Milena, di cui non scorgiamo che il mite e rassegnato sorriso: nel silenzio che l'avvolge è concentrata tutta la pietas del romanziere, la sua sola deroga a un acre e taglientissimo disincanto. Mariolina Bertini
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