Scienza e sentimento

Antonio Pascale

2008

Monografia
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Qualcuno ricorderà il dilemma giornalistico lanciato sulle pagine di "Repubblica" da Pietro Citati secondo il quale il sapore dei pomodori non è più quello di una volta. Quale fondo di verità abbiano simili discorsi se lo chiede Antonio Pascale che, oltre a essere una delle voci sicure della narrativa italiana contemporanea, è anche agronomo. E da scienziato si misura con gli interrogativi e i timori della scienza che la grande discussione bioetica di questi ultimi anni ha portato tra di noi. Lo fa attraverso una riflessione originale e pragmatica, che parte dal dato quotidiano, per poi spingersi, con ironia e piedi in terra, attraverso le ossessioni, i timori, i luoghi comuni legati al mondo della scienza così come viene comunemente percepito.
Biblioteca - SedeInventarioCollocazioneCopieDisponibilitàServizi
IVR-175682
301.24 PAS
Titolo:
Scienza e sentimento / Antonio Pascale
Autore:
Pascale, Antonio (Autore resp.principale (1))
Pubblicazione:
Torino : Einaudi, c2008
Descrizione fisica:
151 p. ; 18 cm.
Livello bibliografico:
Monografia
Tipo di documento:
Testo a stampa (Moderno)
Paese:
ITALIA
Lingua:
ITALIANO
Data di pubblicazione:
2008
Identificativi:
ISBN (International Standard Book Number): 9788806193591
Locale: IV-241610
Classificazioni:
D16 301.24 - -
Soggetti:
Scienze e Società
Tecnologia e società
Tecnologia - Aspetti sociali
Scienze - Aspetti sociali
Collana:
Vele. - Torino : Einaudi, 2003- in 42
Generazione Unimarc in corso 

Tempo fa un prestigioso intellettuale italiano ha messo l'insegnamento della scienza al tredicesimo, cioè penultimo, posto fra le priorità per la riforma della scuola (e quello della filosofia al primo). Dissentendo dalle colonne dello stesso quotidiano, un altro famoso intellettuale ha confuso i virus con i batteri. Sono cose, direbbe Antonio Pascale, che ti rovinano la giornata. Nel suo Scienza e sentimento se ne elencano parecchie, di cose che ti rovinano la giornata: le inserzioni pubblicitarie di salumi che dicono "Purezza sì chimica no"; gli elzeviri sui bei tempi andati; i "letterati puri" che commemorano il mondo succosamente naturale di ieri, al contrario di quello tristemente artificiale di oggi.Non se ne può più: e non perché non ci sia da interrogarsi su come la chimica e la genetica abbiano trasformato il nostro modo di vivere e di alimentarci, ma per la povertà degli argomenti messi in campo. Siamo il paese europeo che investe di meno nella ricerca e nella formazione universitaria, l'ignoranza scientifica dilaga e c'è chi se ne vanta; eppure siamo sempre lì a paventare lo strapotere della techne a scapito della psiche. Quello che manca in molte riflessioni del genere, anche in quelle abbastanza sensate, è la comprensione di cosa siano davvero scienza e tecnologia: dei loro limiti e delle loro potenzialità; gli psicologi parlerebbero di mancanza di un principio di realtà. A ricostruire, con molto buon senso, alcuni elementi di realtà si dedica appunto Pascale, che fa lo scrittore ma ha una laurea in agraria, e si sente. Il suo libro è una puntigliosa rivendicazione dei meriti della scienza: documentatissima, pacata, ma anche molto agguerrita. È anche una singolare autobiografia intellettuale, la storia di come (muovendo, direbbe Darwin, "dalla convinzione opposta") Pascale si sia lasciato alle spalle l'irrazionalismo della prima giovinezza, e si sia armato di scrupolo e pazienza per attraversare la linea d'ombra della maturità. Maturità che in questo caso significa soprattutto saper leggere nei fenomeni naturali per quello che sono, senza filtri sentimentali e senza ricorrere a brutali semplificazioni.L'hanno scritto in molti, e benissimo Michele Serra: più il mondo intorno a noi si fa complicato e più affiora un desiderio (reazionario, in senso letterale) di semplificazione. Titoli di giornali, comizi, trasmissioni radio e tv: dappertutto sembra che il sapere umano debba, e possa, essere tradotto in pillole di elementare semplicità. Invece il mondo è complesso, ed è impossibile comprenderlo se non siamo disposti a fare gli sforzi necessari: ci sono risposte semplici per tutte le domande complicate, solo che, accidenti, sono sempre sbagliate. Particolarmente sbagliate sono quelle che giocano sulla contrapposizione fra naturale e perciò amico dell'essere umano, e artificiale, cioè gravido di rischi. In pagine di grande chiarezza, Pascale illustra quanta chimica e quanta biotecnologia ci siano nell'agricoltura, anche in quella biologica. Da quando i nostri antenati neolitici hanno cominciato a produrre il cibo, tutta la frutta che mangiamo è geneticamente modificata. Si possono commettere errori; a Pascale, però, sembra assurdo sostenere che si stava meglio quando si stava peggio, cioè quando si manipolavano (come oggi) i geni delle piante ma (al contrario di oggi) a casaccio, senza sapere cosa si stava combinando. Sembra anche a me.Insomma, è insulso rimpiangere i pomodori rossi e sugosi, che peraltro non sono mai scomparsi. Ha senso invece ragionare su se e quanto i rischi della manipolazione, chimica e genetica, prevalgano sui rischi della non-manipolazione, che non sono zero come molti credono. "I chimici di fesserie ne hanno fatte", scrive Pascale, ma se vogliamo davvero combatterne i guasti, l'unica è imparare meglio la chimica, non buttarla a mare. La difesa dell'ambiente, o anche solo della tavola su cui mangiamo, è una cosa serissima e ora anche una prospettiva di profonda trasformazione del mondo produttivo. Ma si tratta di sviluppare tecnologie controllate e sostenibili, non di tornare ai radicchi raccolti a mano, anche solo perché quei radicchi non basterebbero per sfamarci tutti quanti. Proprio perché la posta in gioco è altissima, la partita va giocata con serietà. Il catastrofismo di certo ambientalismo radicale è forse l'immagine speculare del radicale disinteresse per l'ambiente che ostenta l'attuale governo del paese. Il punto giusto dove collocarci, dice Pascale, è invece in mezzo: nel punto da cui si può entrare nel dettaglio e affrontare i problemi per quello che sono.Alla fine della lettura, resta soprattutto impresso il tono di una voce che narra, interroga e si interroga, con profonda onestà. Se qualcuno potrà dissentire da alcune delle tesi di questo libro, non si può non essere grati all'autore per il coraggio di porsi e porci interrogativi che tanti evitano, per pigrizia intellettuale o soltanto perché la moda è un'altra. Guido Barbujani
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